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sabato 9 ottobre 2010

La difficoltà sociale del celiaco: come orientarsi per l'aiuto psicologico.

Ecco i risultati del sondaggio che abbiamo proposto questa estate:
aiutopsico
Ma cos'è l'aiuto psicologico e perché potrebbe servire ad alcuni celiaci, specie se neo-diagnosticati?

Si tratta di incontri, da effettuare singolarmente o in gruppo, durante i quali si affrontano i problemi che sono emersi o che potrebbero verificarsi durante la dieta.
Intanto occorre specificare cosa significa mangiare diversamente dagli altri.
Per molti può essere una situazione che viene sottovalutata, ma va tenuto presente che noi viviamo in gruppi. Gruppi familiari, gruppi scolastici, gruppi lavorativi, gruppi di amici.
E' da qui che dobbiamo partire: che succede in un gruppo?

In un gruppo si cercano le SOMIGLIANZE, si cerca la coesione, gli aspetti che più accomunano i membri e per noi tutto va bene finché non ci sediamo a tavola.

Quello è il momento in cui possiamo apparire o sentirci diversi.
Questo ha ripercussioni su noi stessi, sul nostro posto all'interno del gruppo, sull'accettazione che percepiamo da parte degli altri.
Dobbiamo quindi sapere a cosa andremo incontro, senza drammatizzare ma neanche negare il fatto che si possono venire a creare situazioni particolari.

Saperle riconoscere in tempo, prevenirle e soprattutto affrontarle, aiuterà ad accettare serenamente la condizione di celiaco.
La psicologia oggi non si occupa solo di problemi patologici, ma anche del benessere della vita quotidiana di chi non ha necessità di essere seguito per anni né ha problemi seri.


Inoltre non dobbiamo confondere la psicoanalisi con la psicologia. Sono due cose diverse. In Italia, nelle università, si studia la psicologia. La psicoanalisi invece può riguardare uno dei tanti approcci relativi alle terapie, che però non vengono effettuate dallo psicologo, ma dallo psicoterapeuta.

Purtroppo, nonostante la vigilanza giuridica, in questo ambito c'è ancora molta confusione, pertanto credo sia utile differenziare le varie figure professionali legalmente riconosciute.


***
Dottore in scienze psicologiche: E' un laureato TRIENNALE in discipline psicologiche che ha effettuato un tirocinio di 6 mesi. Viene chiamato anche "psicologo junior". Perché possa offrire aiuto psicologico deve aver superato l'Esame di Stato per l'iscrizione all'albo B.  Il suo ruolo è quello di assistente sociale[1].

Non può occuparsi di problemi o disturbi psicologici (deficit, afasie, ansia, depressione, dislessia, sindromi varie, ecc..) a meno che non sia affiancato da uno psicologo accreditato.

Può fare in autonomia attività di Counseling [2], quindi migliorare il benessere di chi NON ha patologie psicologiche. Può occuparsi di aiuto nelle diete, di aumentare l'impegno scolastico (in ragazzi che NON hanno deficit di apprendimento), nella motivazione lavorativa, emotiva, relazionale, ecc..

Tuttavia va differenziato da altri tipi counselor (es. art counselor, terapisti dell'anima, mediatori relazionali, emozionali, ecc..[3]). Infatti, alcune scuole di formazione forniscono corsi a pagamento sulle tecniche di counseling.

Questi corsi però non insegnano le discipline psicologiche (neuroscienze, sviluppo, scienze comportamentali, sociologia, psicologica sociale e cognitiva, ecc..) e non sono riconosciute dallo Stato italiano (nè in ambito europeo), pertanto non possono occuparsi di aiuto psicologico. Se lo fanno possono incorrere in sanzioni di tipo penale.

Psicologo: Ha studiato 5 ANNI (1 laurea di 5 anni oppure 2 lauree: una dei 3 anni + una dei 2 anni di specialistica/magistrale), ha fatto un tirocinio di un anno e deve necessariamente aver superato l'Esame di Stato per l'iscrizione all'albo A per potersi chiamare, appunto, "psicologo".
Può occuparsi sia di counseling che di patologie psicologiche (disturbi del comportamento, deficit evolutivi nei bambini o problemi cognitivi, problemi negli anziani, ansia, depressione, ecc..) Non si occupa di ristrutturazione della personalità (di competenza dello psicoterapeuta).

Psicoterapeuta: E' uno psicologo iscritto all'albo A che ha fatto anche altri 4 ANNI di specializzazione terapeutica presso istituti riconosciuti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). A differenza dei primi 2 che hanno fatto solo il tirocinio, deve andare a sua volta in terapia per poter ultimare il corso di specializzazione. Gli approcci delle scuole sono diversi; possono essere di tipo psicoanalitico (freudiano o junghiano), oppure con approccio cognitivo, comportamentale, ecc..
Si occupa di tutte le problematiche psicologiche.
I profili professionali descritti, pur contemplando studi su molecole e meccanismi neuromodulatori, non possono prescrivere farmaci perché non essendo medici non possono prevedere gli effetti collaterali (es. di natura cardiaca, renale, epatica...). Normalmente se un soggetto ha bisogno di farmaci lo psicologo/psicoterapeuta dovrebbe comunicare con il medico del paziente (che invece non conosce i metodi per diagnosticare problemi psicologici) e concordare insieme la terapia più indicata.

E' importante sapere che gli psicofarmaci senza una terapia psicologica possono ridurre gli effetti di un problema in modo temporaneo, ma non lo risolvono.
***
Detto questo, per quanto riguarda noi celiaci, si tratta di saper affrontare le situazioni in cui ci sentiamo "diversi", a disagio, quindi un counselor (anche un laureato triennale) serio e preparato può aiutare a comprendere perché gli altri si comportano in un determinato modo con noi, cosa possiamo fare per prevedere o modificare lo stato di cose e condurre così una vita serena pur mangiando senza glutine.

[1] http://www.fmag.unict.it/Public/Uploads/article/PSICOLOGIA_ALBO_TRIENN.pdf
[2] http://arcoconsumatoriemiliaromagna.eu/index.php?option=com_docman&task=doc_download&gid=51&Itemid=63
[3] http://www.cpsico.com/counseling_psicologico_counselling_psicologico.htm

11 commenti:

  1. Ottima idea, Patri, quella di illustrare le differenze tra i vari tipi di psicologo (e non). Molte volte, altrimenti, si rischia di incorrere in fraintendimenti.

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  2. per un adulto in situazione psicologica "normale" (e bisognerebbe poi capire cosa vuol dire normale) o un bambino abbastanza piccolo, credo che sia relativamente facile trovare le risorse per affrontare la scoperta della celiachia.
    anche se all'inizio è comunque un po' tramatico, si diventa diffidenti nei confronti del cibo, che dovrebbe invece essere vissuto come "amico". io prima di ricominciare a mangiare con serenità ci ho messo un mese buono, nel quale ho continuato a dimagrire perché letteralmente non mangiavo.

    diversa credo sia la situazione di chi scopre la propria celiachia nell'adolescenza, lì la vedo molto più difficile, proprio in termini psicologici.
    basti pensare al classico pizza+birra che va per la maggiore a quell'età, ai panini a scuola, il tutto nel periodo in cui più di tutti gli altri si cerca l'identificazione con il gruppo.
    non è poca cosa da elaborare...

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  3. Grazie per il tuo contributo perchè è un ottimo spunto di riflessione.

    Cerchiamo però di chiarire la frase di "situazione psicologica normale", non vorrei che qualcuno fraintendesse.

    Immagino ti riferissi al fatto che gli adulti hanno degli schemi mentali già sviluppati e un equilibrio sia interno (con il Sè) che sociale (di se stesso con gli altri) consolidato e quindi strumenti di autocontrollo e cognitivi per arrivare a capire che "LA DIETA E' LA COSA GIUSTA".

    Mentre gli adolescenti, essendo in una fase di identificazione sociale potrebbero risentirne maggiornmente, è questo che intendi?

    Se è così propongo una riflessione:

    posto che un adulto ci riesca (e ci riesce), questo significa anche che non ne soffra?

    Ciao.
    Patrizia
    Puntodivistaceliaco

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  4. Il sondaggio è molto interessante, tuttavia i risultati mi sembrano del tutto sconvolgenti.
    Parliamoci chiaro, tra celiaci: la dieta è solo questione di abitudine, non è assolutamente un grande ostacolo e un aiuto psicologico è sempre utile, ma basta anche quello dei familiari.
    Mi è stata diagnosticata la celiachia a 15 anni, l'età in cui si dovrebbe essere più soggetti a "problemi" psicologici, ma alla fine bisogna solo essere in grado di accettarla in quanto è un nostro stato. Se si hanno problemi ad accettare la celiachia credo si abbiano dei problemi ad accettare noi stessi in generale, aldilà di questa "malattia".
    Ho avuto qualche problema, ma giusto il primo mese e non ho avuto di nessun aiuto professionale...certo sono stato preso in giro, e ancora vengo preso in giro, ma alla fine ci si scherza su come in ogni cosa che fa parte della propria persona e personalità...
    se non si accetta la celiachia forse bisognerebbe avere un aiuto professionale per accettarsi prima come persone, altrimenti la celiachia sarà un grave problema...

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  5. Ho 34 anni e so di essere celiaca da meno di un anno. Avrei gradito molto avere un supporto psicologico in ospedale, nel periodo successivo alla diagnosi. L'ospedale è il posto in cui tutti i celiaci hanno il primo impatto con la loro nuova "identità", e quello subito dopo la diagnosi è il momento più critico da affrontare. In ospedale non ho ricevuto questo tipo di sostegno. Mi sono sentita molto meglio quando ho cominciato a leggere questo blog o un gruppo su fb dedicato all'argomento. Penso che l'incontrarsi e fare gruppo possa essere di grande aiuto. In ospedale, secondo me, manca una figura professionale che dia un primo supporto e che dia delle indicazioni verso i gruppi già esistenti.
    Ho trovato molto utili le riflessioni di questo post, grazie,
    Giuliana

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  6. Grazie a te Giuliana.
    Spero di approfondire insieme a Voi alcuni aspetti dell'argomento nei prossimi post.

    Patrizia.

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  7. Buongiorno,
    Sono uno "psicologo junior" iscritto all'albo B. Sono gia laureato magistrale e in tirocinio. Quindi in attesa di sostenere l'Eds A a Giugno 2011. Mi è stato richiesto privatamente di fare del counselng ma non avevo mai sentito dire prima che un iscritto all'albo B potesse svolgerlo, come lei invece sostiene.
    Non vorrei pertanto incorrere in una sanzione disciplinare.
    Lei che ne pensa?
    Saluti
    Nicola

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  8. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  9. Salve,

    nel primo link che riporto sotto il post ci sono i compiti e le attribuzioni degli psicologi iscritti alla sezione b dell’albo. Come descritto nell'esame di Psicologia della formazione e del counseling, ci sono ambiti in cui non è possibile operare se non si è iscritti all'albo A e si tratta del counseling di tipo "Esistenziale". Si tratta di azioni di consulenza a lungo termine, che hanno a che fare con la ristrutturazione del sè, non sono quindi semplici azioni di tipo direttivo. Poi ci sono ambiti nei quali un laureato triennale iscritto all'albo B può operare (counseling Vocazionale e orientata al compito). Nel link che Le ho segnalato ci sono gli ambiti ben descritti.
    Auguri.

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