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lunedì 21 ottobre 2013

Psicologia e celiaci: cosa ci serve davvero?

Vorrei condividere  e commentare con Voi alcune reazioni all'uscita dell'articolo sul sondaggio relativo Barbedwireall'aiuto psicologico.

La prima reazione che ho notato è quella di rispondere espondendo per primo il concetto: "io non ho problemi..."
Questa ovviamente è una reazione assolutamente normale, che ha a che fare con l'autostima, con il fatto di ripetere a se stessi "va tutto bene" e quindi è un atteggiamento positivo, persino quando non è del tutto vero.

Possiamo quindi considerarla una reazione funzionale al nostro equilibrio.
La seconda frase mira a mantenere una distanza ben precisa fra noi stessi e chi ha scelto a quel sondaggio che il supporto psicologico può servire a tutti, grandi piccini, adolescenti, ecc..

Spesso le considerazioni  sono simili a questa: "chi ha bisogno di aiuto psicologico è perché ha già problemi con se stesso, quindi, ha problemi a prescindere dalla celiachia".
Questo tipo di risposta non corrisponde alla realtà empirica, ma soprattutto rappresenta quello che gli psicologi chiamano Self Serving Bias.


Niente di grave, è solo uno dei tanti meccanismi di difesa che la nostra mente mette in atto, ma rappresenta una "distorsione funzionale al nostro benessere".

Pensare che l'aiuto psicologico per un celiaco sia necessario solo per problemi già esistenti ci mette inconsciamente al riparo dal doverlo richiedere e quindi dal considerarci "a rischio".
Ma questo in realtà denota un pregiudizio implicito verso l'aiuto psicologico.

Perché questa diffidenza e cosa davvero sarà mai questo aiuto?

La colpa non è nostra. In Italia c'è culturalmente un atteggiamento che ci ha abituati al sospetto nei confronti della psicologia e questo perché la si confonde con la psicoanalisi e comunque la si lega a problemi esclusivamente di natura neuro-comportamentale.
In realtà persino un blog o un forum può dare un aiuto, perché semplicemente parliamo dei nostri problemi; inoltre è qualcosa che facciamo con tutti quelli ai quali confidiamo le nostre difficoltà.
Solo in quello psicologico dall'altra parte abbiamo una persona qualificata.

In generale significa sfogarsi, dare via libera alle nostre preoccupazioni e sentire cosa dice l'altra persona, e lo facciamo perché questa ci indichi una strada che tuttavia dobbiamo compiere da soli.
Ma questo scambio di idee è ben diverso dalla "terapia" psicologica.

Non è vero che chi sente di dover avere un aiuto psicologico debba avere necessariamente problemi con se stesso.
Specie se questo aiuto riguarda un problema di coppia o relativo al nostro stare in un gruppo, quindi alla sfera sociale.

Nei gruppi ci sono molte dinamiche e la dieta senza glutine può cambiare questi assetti.
Noi vogliamo essere apprezzati dai nostri amici, parenti, colleghi, vogliamo essere considerati positivamente. Vogliamo essere invitati in pizzeria, ai matrimoni (magari non tutti!!!), a mensa, ai compleanni o alle feste.

Ma non tutti hanno la fortuna di avere amici, parenti, colleghi che non si fanno impressionare dalla dieta GF.

Quindi, non si tratta sempre di problemi pregressi e personali perché spesso non dipende tanto da loro, quanto paradossalmente dal grado di conoscenza sulla celiachia che hanno i loro conoscenti.
Molte persone fingono di conoscere la celiachia, ma non ne sanno abbastanza. Molte volte la nostra rigidità nella dieta viene letta persino come una fissazione.

Ricordo una ragazzina che mi parlava molto male di una sua amica celiaca. Diceva "è strana, se ne sta sempre per conto suo e quando la invitiamo in pizzeria dice addirittura che non può mangiare neanche una mozzarella! Ora, passi per il glutine, ma la mozzarella? Io non la invito più! E' esagerata!".

Le spiegai che molti celiaci sono anche intolleranti al lattosio e una mozzarella significa avere una colica addominale molto forte.  Rimase sorpresa e fu molto dispiaciuta di averne pensato male.
Ma analizziamo bene il meccanismo:

Mangi in modo diverso> non sei "elastica"> sei strana> sei diversa> isolamento.

Nonostante le apparenze, non è un meccanismo che denota "cattiveria".
La maggior parte della gente non accetta quello che non conosce e gli attribuisce un valore negativo.

Al contrario, qualcosa di "già visto", di familiare, è meglio tollerato. E' il meccanismo della pubblicità. Un prodotto o una persona, vengono considerati buoni, attendibili, affidabili o positivi solo perché li abbiamo visti più volte, magari senza averci mai neanche avuto a che fare.

Capire perché gli altri si comportano in un certo modo, prevenire le situazioni e sapere che non sempre lo fanno per una reale mancanza di buona volontà ma perché è un meccanismo comune e molto più naturale di quello che si pensa, ci aiuterà anche a mettere in atto metodi e strategie per evitare incomprensioni.

Si tratta di conoscere quali piccoli trucchi mettere in atto per evitare di pensare male del resto del mondo e di isolarci.

Questo è l'aiuto psicologico per un celiaco.
Come vedete, significa capire gli altri, diventare un po' psicologi.
Non c'è nulla di cui aver paura.

9 commenti:

  1. secondo me (e sono celiaco da oramai 6-7anni, scoperta in piena adolescenza) la questione psicologica sulla celiachia è un argomento del tutto frivolo: quante persone ci sono con intolleranze alimentari? non fanno di certo tutto questo clamore e non hanno di certo aiuto di uno psicologo se non possono mangiare formaggi, o fave, o pomodori ecc...

    non ho avuto bisogno dello psicologo visto che non capisco cosa ci sia di male/sbagliato a ordinare un po' di carne anziché una pizza, o a scegliere un menù diverso dalla norma...il fenomeno credo sia del tutto esagerato! e non credo sia un negare un problema...

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  2. E' molto comune, quando si ha avuto una esperienza di un certo tipo, pensare che tutti gli altri, nel mondo, se hanno avuto la stessa esperienza, debbano per forza affrontarla allo stesso modo.

    E' un errore che ognuno di noi commette quando non vogliamo sforzarci di metterci nei panni degli altri.

    Lei ha un vissuto, un temperamento (o carattere, se preferisce), una famiglia, degli amici, e delle altre esperienze che evidentemente non hanno fatto si che Lei vivesse la celiachia come un problema.

    Bene, è una cosa bellissima.

    In psicologia si chiamano fattori protettivi.

    Altre persone non hanno avuto la sua famiglia, la sua stessa personalità, i suoi amici, la sua storia di vita e quindi possono reagire in modo diverso.

    Magari hanno avuto problemi che lei in questo momento non conosce o non immagina, e quindi la loro reazione alla celiachia (all'ennesimo problema o all'ennesima malattia) può essere diversa dalla sua. Oppure vivono in un ambiente che non ha rispetto per le esigenze di un celiaco.

    In ogni caso, tutto sta ad essere elastici e riconoscere che non si può sapere tutto della vita degli altri e che la propria condizione non può essere presa come metro di valutazione per il comportamento o le reazioni altrui, semplicemente perché non partiamo tutti dalla stessa situazione.

    Nel senso comune questa cosa si chiama "rispetto".

    Forse Lei, forte della sua reazione positiva, potrebbe raccontare a chi invece non sta affrontando allo stesso modo il problema, come ha fatto a superarlo (o a non considerarlo tale).

    Potrebbe essere utile a molti, anche a Lei.

    I miei migliori auguri per tutto.
    Patrizia
    Puntodivistaceliaco.

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  3. Salve, prima di tutto volevo farle i complimenti per il bellissimo blog che ho scoperto grazie ad un articolo pubblicate su Celiachia Notizie. Sono Beatrice, ho 14 anni e sono celiaca da quando ne avevo 7. All'inizio, per me, la celiachia non è stata subito una cosa "normale". Ricordo ancora il griono in cui, all'uscita da scuola, mio papà mi disse che mi avevano diagnosticato la celiachia e che non potevo più mangiare certi alimenti. Io mi misi a piangere per l'intero pomeriggio. Oggi, invece, vedo la celiachia come una cosa assolutamente normale grazie, soprattutto, all'aiuto dei miei genitori e delle persone vicine a me. In casa, oggi, mangiano tutti pasta senza glutine e in frigorifero c'è prosciutto o salumi senza glutine. Devo dire, anche, che i cibi senza glutine non variano di molto di sapore, cosa che mi fanno notare tutti. Alcune persone, che in questo tempo stanno diventando sempre più numerose, mi dicono: "Quanto deve essere difficile seguire la dieta senza glutine!". In questi casi io rispondo che non è molto difficile, ma mi viene rabbia quando le persone che magari sanno a malapena cosa vuol dire essere celiaco dicono queste cose. Certo, io vivo abbastanza bene la celiachia ma quando, per esempio, vado fuori a mangiare una pizza o in vacanza all'estero mi devo sempre portare dietro i cibi senza glutine. E come dice Lei, bisogna avere anche la fortuna di avere dei parenti, familiari che ti sostengono e sanno accettare l'essere celiaco.
    Molte persone, però, vedono la celiachia come una vera e propria malattia che ti comporta di essere diverso dagli altri. Questa cosa, quando certe persone me la fanno notare, i colpisce profondamente perchè la celiachia è sì una malattia, ma che non comporta l'essere diverso dagli altri. A volte, nella nostra società, si fanno troppi pregiudizi sulle persone.

    Buon lavoro,

    Beatrice

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  4. I complimenti glieli faccio io per il suo messaggio, davvero molto bello e per la serenità che trasmette quando parla del contesto di vita del celiaco, nonostante anche Lei rilevi che purtroppo ci sono persone che vivono problemi prima di tutto con i loro familiari, e che la celiachia a volte non è che l'ennesimo pretesto per i conflitti.

    In generale, oramai la vita del celiaco è infinitamente più semplificata rispetto al passato e vederci come "diversi" è semplicemente assurdo.

    Cordialmente,
    puntodivistaceliaco

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  5. Buongiorno. Mi scuso se mi inserisco così tardi alla conversazione. Ho trovato molto interessante l'articolo e condivido in pieno il fatto che non debba essere una vergogna sentire la necessità di un aiuto psicologico. Io sono una ragazza di 25 anni, ho scoperto di essere celiaca solo pochi mesi fa, proprio quando, neolaureata, avevo deciso di cambiare vita, città e regione. Avevo l'ambizione di lavorare all'estero; adesso ho dovuto rivedere le mie aspettative, non solo perché in questo momento ho una serie di problemi di salute collegati alla celiachia, ma anche perché non so se potrò mai trovare un posto nel mondo in cui io possa vivere una vita normale. Anche rimanendo in Italia, da quanto ho potuto costatare io, se si è residenti in una regione diversa, non si hanno diritti, i buoni alimentari non vengono accettati! La cosa che mi ha fatto più rimanere male non è la malattia in se, ma l'ignoranza della gente su questo fronte. Ogni persona con cui ho avuto l'occasione di parlare della celiachia (essendo costretti a pranzare fuori casa per lavoro è normale trovarsi in situazioni in cui devi "giustificare" il tuo pasto) mi ha detto "ma adesso si trovano molti più prodotti"; le persone sanno solo dire questo. Probabilmente hanno anche ragione, ma non è abbastanza! Non si trova facilmente un posto dove poter consumare un pranzo veloce senza glutine! Essere catapultati in una vita diversa, che spesso ti isola dagli altri, che spesso non ti permette di fare una delle cose più naturali del mondo, mangiare, richiede, a mio avviso, un sostegno psicologico. Come giustamente ha ricordato il gestore del blog, non tutti hanno la fortuna di vivere in un ambiente in cui si è capiti e aiutati, bastano piccole accortezze, ma spesso le persone non hanno voglia di averle, e di conseguenza ci si sente isolati. Credo che si debba fare ancora molto, che si debba sensibilizzare sull'argomento celiachia, perché il celiaco possa vivere una vita normale, perché ne ha tutto il diritto!

    Buona giornata e complimenti per il blog

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  6. Grazie per il Suo contributo.
    Dott.ssa Guarino.
    Puntodivistaceliaco

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  7. Inserisco il post di una lettrice anonima al quale è stato tolto un link contenuto nel messaggio originale che, per policy del sito, non possiamo pubblicare. Ringrazio la lettrice per la sua testimonianza.
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    Sono capitata in questo blog cercando una cosa del tutto diversa: come la celiachia non curata possa creare disturbi dell'umore e dell'attività cerebrale. Ok, non si trova facilmente qualcosa in merito, dovrò continuare. Se qualcuno può aiutarmi, ben venga.

    Qua ho letto casi opposti a quello di mia figlia: persone a cui viene diagnosticata la celiachia, e entrano in crisi per l'inevitabile cambiamento nel loro stile di vita.

    A mia figlia la celiachia è stata diagnosticata a venti anni, mentre probabilmente lo era fin da piccola, e comunque dopo sette anni nei quali, da sola, si è accorta che stava meglio senza glutine. Mia figlia ha sofferto, fin da piccola, di episodi in cui le comparivano improvvisamente strane bolle su tutta la pelle, dolorosissime. Consultati dermatologi e tentato di tutto. A un certo punto, in età adolescenziale (immaginarsi gli "amichetti": Ma che, sei lebbrosa? Io accanto a te non ci volgio stare, Vai via che fai schifo, Mi attacchi i tuoi mali...ecc ecc) mia figlia si accorge che senza glutine sta meglio. Pur facendosi seguire dai "luminari" della celiachia -non faccio nomi solo perchè mi vergogno per loro- poichè le indagini sul sangue erano negative, e l'accrescimento normale, la relazione bolle-glutine è' stata considerata come una suggestione di persone ansiose, e la remissione delle bolle come un effetto psico-somatico. Quindi, detto sette anni fa da uno dei maggiori esperti italiani, non pensateci troppo ed andare alla mc donald a mangiarvi un panino. Ci andiamo, e poi facciamo un po' di dieta senza glutine "un po' sì e un po' no" da noi, tanto per..... Ovviamente, le ho pagato per anni tutte le cose senza glutine che acquistavamo, ma non era nulla..
    Invece, un capitale speso in creme, in saponi, tolti i mobili antichi, disinfestato casa e gatto; frequenti accessi al pronto soccorso per mal di pancia e sospetta appendicite, definiti "colon irritabile" su base psicosomatica: evitare lo stress.
    Comparsa di "attacchi di panico" circa due anni fa, psicofarmaci a iosa e terapia psicologica da cento euro a settimana. Qualità di vita da incubo, problemi relazionali e scolastici.

    Caparbiamente, testardamente, torniamo alla carica con la celiachia.
    Stavolta, invece che fermarsi alle analisi del sangue, abbiamo trovato un medico intelligente: biopsia cutanea e indagine genetica: dermatite erpetiforme.
    La foto della pelle nel link postato sopra è molto simile a quello che aveva addosso mia figlia, periodicamente. Una bellissima ragazza con quelle cose addosso.
    Lo stress e i disturbi della personalità, che le hanno creato una grande emarginazione, sono stati la conseguenza inevitabile, non la causa dei suoi mali.

    Finalmente ha avuto una dignosi e ora mangia realmente senza glutine. Le cose stanno lentissimamente migliorando, la cosa strana è che adesso è diventata iperreattiva a qualsiasi minima presenza di traccia di glutine.
    Probabilmente, bombardandolo il suo organismo lo stesso di glutine (si evitava pane e pasta, ma non si stava attenti alle contaminazioni, come consigliato dai "medici" per non stressarci troppo) si era dovuta adattare, ora il suo fisico "urla" se ne assume anche una molecola. Bisogna stare attenti, ma non è niente, non è un poroblema.
    Il problema è che ha comunque vissuto per anni con l'incubo di non sapere cosa le sarebbe accaduto da un momento all'altro, e perchè; questo è stato devastante, mentre la CERTEZZA di una diagnosi è una grande sicurezza, una cosa che dà benessere.
    Lei, in questi anni, ha desiderato ardentemante di essere celiaca, anche se le dicevano di no. La diagnosi di celiachia ha migliorato tantissimo la sua percezione di sè, e i rapporti con gli altri.
    "Non sono lebbrosa, non sono pazza, sono celiaca".
    ___________

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    1. Buongiorno, vorrei prima di tutto farle i complimenti per il blog. Sono stata diagnosticata celiaca da pochissimo e la cosa mi ha creato grande sconforto - specie perche' sono vegetariana e per lavoro viaggio tantissimo, trovandomi molto spesso in situazioni in cui devo mangiare fuori (o peggio ancora, in cene o pranzi formali a cui devo partecipare) e che non so bene come affrontero'.

      Pero', sicuramente dal punto di vista psicologico la diagnosi mi aiuta. Certamente sara' difficile, ma negli ultimi due anni i medici hanno attribuito i miei disturbi a stress e malattie psicosomatiche, facendomi addirittura pensare a rinunciare alla carriera che mi piace molto e che mi sto contruendo con fatica ma con buoni risultati. Sono sata da psicologi e ho iniziato a praticare yoga e meditazione, ho cercato di cambiare il mio stile di vita, ma chiaramente i sintomi non miglioravano, perche' sono celiaca e il vero problema e' il glutine. Ora so che con un cambio di dieta staro' meglio, ed e' una grande liberazione sapere che si tratta di un problema fisico e non di un disagio psicologico che non saprei come curare.

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    2. Salve Giupy. Grazie per la Sua testimonianza.
      Io, essendo Psicologa, le posso assicurare che i disagi psicologici si risolvono e spesso in un tempo e con spese minori di quello che si pensa.
      Il problema però che Lei pone è relativo alla DIAGNOSI, un processo che purtroppo è spesso molto sottovalutato sia dai medici che dagli psicologi.
      Se pensa che io per la mia diagnosi sulla celiachia ho cambiato 5 gastroenterologi e diversi immunologi... alla fine sono riuscita a trovare chi mi ha aiutata, ma solo perché ha eseguito una diagnosi fatta bene.

      La fretta di molti professionisti di trovare un rimedio ai malesseri del paziente è spesso la causa dell'allungamento dei tempi per risolverlo.

      Uno psicologo scrupoloso sottopone il paziente ad una serie di TEST PSICOLOGICI e colloqui psicodiagnostici prima di iniziare o consigliare qualsiasi terapia.
      Nel caso specifico delle malattie psicosomatiche ci sono dei test psicologici molto validi, ma in generale i test costano molto al professionista. Infatti i test psicologici validati si acquistano da società specializzate e hanno costi notevolissimi (io ho speso più di 6000 euro solo per l'acquisto di test). E non finisce qui. Per usarli bene bisogna avere una formazione specifica, quindi fare corsi specifici o un master in psicodiagnostica e un tirocinio.
      Così come un bravo medico invia il paziente per una diagnosi ad uno psicologo quando ha il sospetto che la questione abbia una eziologia psichica, così un bravo psicologo invia il paziente ad un medico quando sospetta un problema organico. E ci sono diverse patologie organiche che possono dare problemi psicologici o psicopatologici, basta pensare agli squilibri ormonali.

      In definitiva, mi rendo conto che Lei, con la Sua esperienza possa non avere fiducia sulle capacità risolutive della psicologia, ma non possiamo perdere fiducia in una scienza solo perché abbiamo incontrato professionisti che non hanno svolto una diagnosi corretta, altrimenti io e moltissime persone che hanno scritto qui nel blog, non dovremmo avere più fiducia nella medicina.

      Il paziente informato è lo scopo di questo blog. Vale però anche per la Psicologia (tanto più che sono celiaca e Psicologa).
      Noi abbiamo DIRITTO ad una diagnosi precisa ed ottenuta con strumenti adeguati.
      Così come quando andiamo da un medico e questi ci prescrive le analisi del sangue perché, anche se ha riconosciuto i sintomi, vuol essere certo di non aver commesso errori per la sua soggettività, così dovrebbe fare uno psicologo.
      Purtroppo, spesso capita che il medico ci dia un farmaco per vedere se funziona o uno psicologo ci dia una psicoterapia per vedere se funziona, nella fretta di risolvere il problema.

      La salute però è la nostra, sia quella fisica che quella psichica e dobbiamo essere informati e far valere i nostri diritti.

      Un cordiale saluto e grazie per aver sollevato la questione.
      Dott.ssa Anna Patrizia Guarino
      Puntodivistaceliaco

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